3 agosto 2010
Al primo fine settimana di agosto il viaggiatore ignaro può incontrare delle figure strane nella regione Veneto del Nord Italia: prove pubbliche di bande militari in divisa, scene improvvisate di custodi in costume della tradizione, scorta di corridori con la torcia sulla strada principale indicano che non si tratta di un consueto week-end estivo. Non sono di certo i prodromi di uno spettacolo turistico per le vacanze – davanti ai nostri occhi si svolgono i preparativi della commemorazione della prima guerra mondiale, la cerimonia di Cima Grappa, che ha luogo dagli anni Settanta ogni prima domenica di agosto.
È l’incontro degli ex belligeranti che combattevano proprio in questa zona (da una parte gli italiani, dall’altra parte i popoli della Monarchia), resa degli onori alle decine di migliaia di eroi caduti. Il sacrario del Grappa è uno scenario adeguato: sulle sue pietre sono allineati i nomi dei soldati italiani, austriaci, ungheresi, cechi e di altri popoli indistintamente accomunati.
Sacrario tra le nuvole
Sono passate da alcuni minuti le sette di domenica mattina, ci stiamo avvicinando alla quota di 1775 m di Cima Grappa dalla località Fonte Alto. La delegazione è sulla ventina di persone. La nostra autocolonna arriva tra le prime al parcheggio situato tra il monumento e l’albergo-rifugio Bassano. Dalla cima si apre una perfetta visuale sulla pianura compresa tra i corsi del Brenta e del Piave. Gli organizzatori italiani della Pedemontana aspettano qui ogni anno qualche migliaio di persone. – Fino al 2004 non c’era alcuna rappresentanza ungherese, abbiamo incominciato noi allora per la prima volta.
“Non dobbiamo pensare a niente di particolare, abbiamo trovato questo luogo tramite conoscenze private” – racconta László Dinyés, presidente del Ass. Circolo Amici Ungherese Monte Grappa. – Nonostante già fin da principio abbiamo tentato di ufficializzare l’iniziativa e abbiamo cercato l’Istituto di Storia Militare e anche il Ministero della Difesa, affinché ci fosse una figura ufficiale a rappresentare l’Ungheria, però da ogni parte non abbiamo ricevuto che promesse. Così da sei anni il nostro circolo d’amici si alimenta mediante relazioni familiari e simpatie. La nostra associazione ora conta cinquanta persone.” Per gli ungheresi l’importanze del Monte Grappa sta nel numero dei loculi con e senza nominativi dei caduti; accanto ai morti italiani riposano i resti di circa dieci mila soldati dell’armata austro-ungariaca, di cui 142 sono i nomi incisi sulle lapidi del Monte Grappa.
Prima che inizi la cerimonia percorriamo la parte del cimitero austro-ungarico, l’itinerario della sfilata, ascoltiamo le prove delle bande e visitiamo l’ingresso della galleria Vittorio Emanuele scavata sotto la cima.
In tutta Nord Italia, così anche nel Veneto in cui sorge il Monte Grappa, curano con particolare attenzione i luoghi che ricordano la prima guerra mondiale. Dal corso dell’Isonzo (in sloveno Soca) e dal confine italo-sloveno fino alla zona delle Dolomiti ogni postazione di combattimento e di movimento dei fronti, ogni scenario grande o piccolo di guerra è diventato luogo della memoria attestata in diverse lingue. Il regime fascista degli anni Trenta nel ricordo nostalgico della vittoria ha voluto edificare monumenti e sacrari ispirati dall’eroismo.
Alle nove Cima Grappa si affolla di persone e sui percorsi delle sfilate si susseguono dei gruppi nei tradizionali costumi militari: fanti austriaci, alpini italiani e gli ussari ungheresi volentieri fotografati da tutti (membri del Kiskun Huszár és Honvéd Hagyományőrzők). Vista con gli occhi degli ungheresi, questa manifestazione assume proporzioni inconsuete in relazione alla commemorazione di eventi storici. (La foresta tricolore è decisamente equivoca per l’analogia dei colori delle bandiera italiana e ungherese.)
Poco dopo le nove ogni delegazione è al suo posto e con l’inno austriaco e italiano comincia l’alzabandiera. Le nazioni della Monarchia – secondo il sistema federalistico di un tempo – prendono posizione insieme. Per lo spettacolo, i costumi d’epoca, gli stendardi e i gagliardetti è nello stesso tempo una rievocazione storica e un serio e solenne dispiegamento militare. Per gli ospiti italiani, in teoria, questa cerimonia potrebbe essere un’esibizione di vittoria. Anche perché le Dolomiti, l’Altopiano di Asiago e il Piave vicino, nonostante gli innumerevoli insuccessi e perdite, sono simboli della difesa italiana.
Sul Monte Grappa, però, nessuno parla di vittoria. Stretta nei combattimenti in montagna, la Grande Guerra si è protratta più a lungo e più sanguinosa del previsto (12 battaglie sull’Isonzo, attacchi austro-ungarici da Tirolo, Doberdò ecc.) senza portare risultati definitivi, pace e vittoria vera.
Saluto di un ministro ungherese per la prima volta nella storia
All’incirca fino alle dieci e mezza si susseguono i saluti di circostanza, dopo i discorsi degli organizzatori e delle autorità e delegazioni, quindi la deposizione delle corone ha inizio la S. Messa. Ogni discorso e la predica sottolineavano l’importanza della memoria storica, della pace, del superamento dell’aggressione e degli odi di parte. Dopo la Messa gli ex avversari si schierano per una cerimonia a parte. Per la delegazione ungherese, Katinka Borsányi, vicepresidente del Circolo d’Amici Ungherese Monte Grappa saluta i presenti, quindi legge in italiano il discorso del Ministro della Difesa, dott. Csaba Hende. Il momento è importante in quanto è la prima volta nella storia delle cerimonie sul Monte Grappa che l’Ungheria trasmette un messaggio ufficiale ai partecipanti alla commemorazione.
Dal discorso di Hende risalta che oltre a ritenere suo dovere d’ufficio contribuire a conservare la memoria storica dei caduti, coltiva un legame personale con i luoghi del fronte italiano, dato che anche suo nonno paterno aveva combattuto in questo settore e apparteneva a quei fortunati che poterono tornare dai loro cari. (L’intero discorso si può leggere in tre lingue sul sito: www.mgrappa.eu)
“Ritengo sia un risultato particolarmente serio che il Ministero della Difesa stavolta ha reagito in merito alla nostra domanda e finalmente si poteva sentire un saluto ufficiale ungherese alla cerimonia di Cima Grappa” – dice László Dinyés. “Non è possibile che il ricordo migliaia di soldati ungheresi caduti non interessi al Ministero ungherese. Se mi chiedesse il motivo per cui organizziamo da anni la rappresentanza ungherese, risponderei che finora non lo faceva nessun altro.”
Come si evince dallo statuto del Circolo d’Amici Ungherese Monte Grappa, il loro scopo, oltre la cura delle tradizioni è la rcerca, ovvero l’identificazione più precisa di quei 142 soldati ungheresi, i cui nomi conosciamo dalle lapidi del Grappa. Siccome le liste dei caduti ungheresi della prima guerra mondiale sono state distrutte negli anni Settanta, il compito è decisamente difficile, anche se abbiamo già dei risultati parziali. Qualcuno da Londra, via internet ha trovato le liste sul sito della nostra associazione, individuandovi un suo parente. Qualcun altro è stato identificato grazie ai registri parrocchiali. “Non abbiamo altro obiettivo con questo che dare la possibilità ad alcune famiglie ungheresi di dire: guarda, l’abbiamo scoperto, è là che riposa il nonno!” – concludiamo la conversazione con László Dinyés.
Nel frattempo si conclude la cerimonia di deposizione della corona ai caduti della Monarchia. I più si affrettano a recarsi al rinfresco presso il rifugio-lbergo Bassano (e sono tanti quelli che desiderano a fotografarsi con gli ussari ungheresi) e per la siesta pomeridiana piano piano scompaiono le divise militari e la gente torna a casa. Quello del Monte Grappa non è il più grande, né l’unico sacrario che renda omaggio agli ungheresi caduti sui fronti italiani ma per la sua terra sconosciuta (almeno per gli ungheresi) che nasconde migliaia di morti e per la sua atmosfera davvero speciale merita attenzione. Al centesimo anniversario dello scoppio della prima guerra mondiale sarebbe opportuno e doveroso che l’Ungheria potesse conoscere e apprezzare i sacrari dei suoi caduti.
Autore: Barnabás Borbás
Traduzione: Katinka Borsányi
Consulenza: Pietro Demeneghi